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"Sopra altre città, in altri mondi" una mostra nelle stanze di Casa Moretti con ardesie, incisioni, e piccole edizioni.

  • fgguerri
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 22 ore fa

Sabato 5 luglio si inaugura a Casa Moretti a Cesenatico la mostra "Sopra altre città, in altri mondi" di Federico Guerri, ispirata alle Città invisibili di Italo Calvino. Il tema della città, ripreso da quello calviniano delle Città invisibili, è sempre stato fecondo per gli artisti, mettendo a confronto il fantastico, l’auspicabile, il futuribile con la realtà concreta del nostro abitare e del nostro vivere. Anche Federico Guerri ne ha fatto il fulcro della sua ricerca artistica, che si svolge attraverso il disegno a matita e varie tecniche legate all’incisione, su carta e su ardesia, coniugando la trama dei segni e delle strutture dell’architettura e del paesaggio, con grande aderenza figurativa, alle atmosfere ambigue, tra costruzione e distruzione, di visionarie metropoli, di costruzioni incompiute (o in rovina?), di selve urbane, fino a composizioni geometriche in scorci ripresi dall’alto, in un rigoroso bianco e nero. L’esposizione mette a confronto opere recenti con altre che sono state una parte fondamentale della ricerca artistica dell’autore che ha già al suo attivo importanti esposizioni e collaborazioni con Gallerie di Roma, Milano e Venezia.

Un’occasione di speciale sintonia, quella di ospitare il cesenate Guerri nella casa di Marino Moretti, che ne La città vicina, quella di serriana memoria, dichiarava: «Così mi perdo in queste stradicciuole / mentre il sole s’offusca e quasi piove. / Nulla ravviso, nessuno saluto». Diverse, tuttavia, le voci della poesia presenti nella mostra: oltre a Moretti, ci sono infatti proprio quelle dei poeti che l’artista, con la sua collana editoriale, ha pubblicato nei libretti d’arte di “Orme Leggere”.


Città abitate da palazzi e strade

Da quando esistono i droni la soggettiva a volo d’uccello è entrata nelle abituali percezioni ottiche e nella memoria collettiva, ma per secoli, per millenni, è stato terreno di pura e rarissima immaginazione e in quella eccezionalità, come nel caso della Battaglia di Alessandro di Albrecht Altdorfer (del 1529, conservata presso l’Alte Pinakothek di Monaco), quella visione a perdita d’occhio equivaleva allo sguardo di Dio.

Alte sopra la città le nuvole, 2025, lavagna incisa, 50x100

La veduta aerea del golfo di Napoli, del lorenese Didier Barra è di un secolo dopo (datata 1621, ora si trova a Napoli, nel Museo di San Martino), si tratta invece di una variante prospettica e pittorica della cartografia cittadina, di quelle mappe urbane che incisori (fiamminghi, francesi o tedeschi), andavano realizzando durante i loro lunghi soggiorni nella penisola italiana.

Nel mio immaginario personale, che trova radice in un’adolescenza appassionata di storia sociale e nutrita anche dai ricordi dei genitori, la veduta soprelevata di una città evoca invece la guerra. Non erano rondini nel cielo sereno o Dei dell’Olimpo poggiati sulle nuvole, ma piloti di cacciabombardieri a fotografare i centri storici distrutti dalle bombe nel 1943-44. Anche le più elevate sculture, i mostri aggettanti di qualche cattedrale rimasta miracolosamente in piedi potevano constatare dall’alto lo scempio del passaggio bellico, nell’Europa ferita a morte di quegli anni. Chi non ha in mente Dresda, massacrata allora, così come oggi lo è Gaza o Kiev?

Il denso bianco e nero di quelle immagini, talvolta accompagnato da sfocature marginali, si è fuso in modo indelebile a quella memoria e nella stessa cartella ideale, assieme a tutto questo, entro la mia mente si è depositato anche l’inizio de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders (1987) quel volo che giunge fin dentro ai pensieri bisbiglianti dei cittadini, degli attori.

È stato dunque istintivo il percorso del mio pensiero verso quelle tenaci tracce, quando ho visto per la prima volta le prospettive aeree di Federico Guerri incise, nella realtà e nel simbolo, sulla pietra nera di vecchie e dismesse lavagne scolastiche. Sembrano città costruite nella fibra, come se il modello di quell’intreccio di case e palazzi fosse una stuoia smembrata, che nelle parti lacerate tenta di sfilarsi, tradendo il disegno geometrico e quasi aspirando alla libertà del volo.

Un meticoloso lavoro da cartografo si dispiega sul levigato minerale, sul millenario supporto che deriva dal sedimento di preistorici fiumi, dal fango che milioni di anni fa ha trattenuto e inglobato i corpi carbonizzati di schiere di microrganismi. Sono quelli ad aver dato il colore nerastro alla pietra. Una tenebra polverosa che torna a

ravvivarsi quando entra nuovamente a contatto con l’acqua del fiume, della quale un tempo faceva parte.

Sinapsi urbane che diventano labirinti, ma senza alcun Minotauro, senza un Teseo, eppure tutto è filo d’Arianna.

Città abitate solo da palazzi e strade, quasi come la prima immagine che ritrae uno scorcio di Parigi, realizzata da Louis Daguerre. Nella Veduta del Boulevard du Temple (1839), la presenza umana era stata misteriosamente annullata, si comprese solo in seguito che la causa risiedeva nel lunghissimo tempo d’esposizione, di una ripresa che ancora non si chiamava fotografica.

Quella primordiale ‘trappola di luce’ (questa è per me la macchina fotografica), applicata alle profonde visioni prospettiche, finiva dunque, grazie a un inaspettato incantesimo, per far scomparire le persone, lasciando senza attori quel teatro cittadino.

Anche il tempo lento del processo esecutivo di Federico sembra sfruttare quel sortilegio, si concentra sulle cose, sugli arredi di un interno o sulle strutture architettoniche di un paesaggio urbano, scenari che anche senza le presenze riescono ad essere narrativi. Da muti e deserti diventano trafficati ed eloquenti, ma il traffico è fatto dalle stesse nervature dei palazzi, dalle fughe diagonali delle strade.

In filigrana emerge un racconto iscritto nella forma di un tappeto istoriato, nell’intreccio vorticoso tra orditi longitudinali e le latitudini delle trame. In fondo è stato un telaio geologico, grande come una montagna, a intessere il prezioso e compatto disegno di quelle pietre.

Massimo Pulini

 
 
 

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